sabato 23 gennaio 2010

Deep Blue

La navetta di Nate lo depositò davanti all'imponente edificio in stile neoclassico dopo soli dieci minuti. Si diresse verso l'ingresso principale insieme a decine di altri studenti, e affrettò il passo quando notò attraverso le grandi vetrate che Liz lo stava aspettando davanti alla scalinata che portava alle aule del primo piano. La ragazza reggeva una pila di libri sotto un braccio e nell'altra mano aveva una brioche («sicuramente ripiena di qualcosa di pesante e ipercalorico» pensò Nate), che per poco non le cadde di mano quando si slanciò per attirare la sua attenzione. Nate la cinse per un fianco e la alleggerì dal carico di libri, dopo averle scoccato un bacio sulla fronte. «Iniziavo a pensare che ti saresti perso la lezione di Cooper» sorrise lei, addentando un morso di brioche e offrendogliene un pezzo, mentre s'incamminavano per la scalinata di marmo. «Io invece inizio a pensare che tu ti cibi solo ed esclusivamente di quelle bombe a mano ripiene» rise lui, rifiutando il cornetto. «No dai scusa…sai com'è…colpa dei treni, sempre in ritardo…» replicò alla finta faccia offesa che Liz aveva sfoderato. «Certo immagino che anche per te sia stata dura la tua passeggiata di cinquanta metri per attraversare la strada» ironizzò lui «avevi proprio bisogno di energia…». Lei gli sfiorò il fianco pizzicando il filo di pancetta del ragazzo e sorrise. «Almeno quanto ne hai bisogno tu…» gli disse facendogli la linguaccia.
Mentre la guardava non poté fare a meno di pensare quanto fosse stato fortunato a incontrarla. A dire la verità loro si erano letteralmente scontrati un mese prima, il primo giorno di scuola e, dopo parecchie imprecazioni sul fatto che nessuno dei due aveva idea di dove si trovassero, né di dove si tenesse il corso a cui dovevano arrivare entro i successivi venti secondi, avevano trovato l'aula e si erano seduti vicini, con i complimenti del professore di Fisica generale, per essere riusciti ad arrivare in ritardo già dalla prima lezione. Il giorno stesso erano andati a pranzo assieme e avevano scoperto di avere molte cose in comune, tra cui una passione smisurata per la musica degli anni '70, e i viaggi on the road senza una meta precisa. Durante quel primo mese di scuola erano diventati amici e spesso studiavano insieme, risolvendo la preoccupazione di Nate, che era abituato agli studi di gruppi coi vecchi compagni di classe. Liz era intraprendente e decisamente più brava di Nate negli esercizi, ma non lo eguagliava in quanto a nozionistica, anche perché lui era dotato della cosiddetta "memoria fotografica" e aveva allenato quella capacità riuscendo a ricordare un numero impressionante di definizioni e formule, senza neanche troppa fatica. Era proprio nel fissare in testa i dettagli del viso di Liz che si era stupito del fatto che verso di lei, avrebbe forse potuto provare un sentimento che andava oltre l'amicizia.
Arrivarono davanti alla porta dell'aula contrassegnata dal cartellino "Fisica I – prof. H. Cooper" ed entrarono nel vasto spazio a gradoni sedendo nei loro soliti posti in penultima fila. Salutarono silenziosamente i loro vicini – Helen, Fergie, e Tay – ed estrassero i loro bloc-notes. Il professore era già lì, appoggiato alla cattedra che leggeva un foglio di appunti, probabilmente la lezione che stava per tenere. Nella sala regnava un silenzio quasi totale, interrotto da qualche bisbiglio o dal fruscio di qualche foglio di carta. Henry Cooper aveva questa straordinaria capacità. La classe aveva capito, dopo il breve discorso tenuto dal professore la prima lezione, che con quell'ometto dall'aspetto bonario non si scherzava, e che sotto la lunga barba e gli occhiali dalla montatura metallica c'era un insegnante come è sempre più raro trovarne. Estremamente competente nella sua materia, era in grado di far provare ai suoi allievi lo stesso amore che lui stesso provava per quegli argomenti, ma pretendeva da questi, serietà e professionalità.
«Bene, buongiorno a tutti» disse con la sua voce baritonale, che risultava quasi ridicola, su un uomo dalla corporatura così minuta, «come ricorderete abbiamo lasciato in sospeso il nostro discorso sul moto parabolico…». Nate posò la penna sul foglio e in quel momento qualcuno gridò. Un grido che sembrava provenire da un punto imprecisato dietro di lui. Una donna forse…? Sussultò e si voltò di scatto, esclamando «…cosa…?». Niente. Si girò. Liz lo guardava con aria interrogativa, e così anche gli altri. Il grido continuava, un urlo lacerante, straziante, di qualcuno che provava un dolore oltre i limiti della sopportazione. Nate si guardò intorno confuso e si accorse di essersi alzato in piedi, anche se non ricordava di averlo fatto. Il grido aumentava sempre di più in intensità. Cooper lo guardava stranito «…mi scusi, lei? Sì, lei là in fondo...». Nate si coprì le orecchie ma fu inutile perché l'urlo sembrava provenire dalla sua testa. «Basta!!!» gridò. «Fatela smettere…». Sentì le forze che gli vennero meno e la vista gli si annebbiò. Cadde. L'ultima cosa che avvertì in lontananza era Liz che gridava «Nate!» e cercava di afferrarlo…l'urlo continuava dentro di lui…
Si sentiva soffocare. «Nate…». Poco più di un sussurro. Era Liz? Voleva risponderle ma si sentiva come sospeso sott'acqua. Blu. Tutt'intorno. Muoveva le labbra ma non usciva nessun suono. Poi lo sentì ancora. La donna -non sapeva come, eppure ne era certo, era una donna- urlava ancora. Ma era come se il suono gli giungesse senza forza, ovattato, come se tutto fosse ricoperto da un soffice strato di neve. Prima la forza del grido sembrava avergli lacerato i timpani, invece al momento sembrava che il suono, come dotato di una propria coscienza, non volesse più fargli del male. Era un aroma che lo invitava a seguirlo, lo incuriosiva. «…Nate…». Stavolta più forte. Era come se la voce lo trascinasse lontano da quel mondo color cobalto. Lontano da quell'urlo. E si rese conto che stava lottando per resistere al richiamo. Non capiva perché, ma voleva improvvisamente sapere chi soffriva in quel modo. Gli sembrava familiare, gli sembrava…di non ricordare qualcosa di…importante, una cosa semplice…che tuttavia gli sfuggiva sempre più, man mano che cercava di afferrarla. «Nate!». «No!» articolò lui, anche se nessun suono uscì dalla sua bocca, quando una forza invisibile lo strattonò via.

Aprì gli occhi ancora annebbiati e trasse un profondo respiro, mentre il senso di soffocamento lasciava il suo corpo. Ansimava come se fosse appena riemerso da una lunga apnea. Sopra di lui c'era Liz che lo osservava preoccupata, mordendosi il labbro inferiore, le sopracciglia corrugate. Si guardò intorno e si accorse che non era più nell'aula di Cooper. «…Dove…?» biascicò. Era ancora stordito, ma si stava rapidamente schiarendo le idee, mentre cercava di ricordare più dettagli possibili del sogno -se di sogno si trattava- da cui era appena uscito. «Come ti senti? Abbiamo dovuto portarti in infermeria perché sei caduto e non riprendevi conoscenza…» balbettò Liz «…pensavamo avessi battuto la testa…continuavi a muoverti in modo strano». «Sto…bene…» disse «…credo…», mentre cercava di calmare il respiro e di far rallentare il cuore che batteva ancora a mille. Sentì che la mano destra gli faceva male e si accorse che aveva ancora in mano la sua penna. Probabilmente l'aveva tenuta stretta per tutto quel tempo e notò che la pelle era graffiata e le ferite arrivavano fino alla carne. Si domandò per quanto tempo fosse stato privo di conoscenza e con quanta forza aveva contratto la mano. Oltre alle escoriazioni infatti gli era venuto un crampo non appena aveva cercato di muovere le dita. .«Oh…ci siamo svegliati eh?» disse una donnina dai capelli bianchi che entrava scostando la tenda della stanza. «Come stai caro?» chiese quella che Nate immaginò essere la dottoressa dell'istituto, mentre gli toccava la fronte per sentire se era caldo. «Solo un po' scosso…» rispose intanto che lei gli misurava la pressione. Nascose la mano graffiata e dolorante. «Non capisco cosa…non mi è mai capitata una cosa del genere…». «Niente problemi cardiaci, ipertensione, epilessia…?». «…No…mai avuto niente di più serio di un'influenza…». Era vero. Era sempre stato sano come un pesce, non aveva preso la varicella nemmeno quando quasi tutti nella sua scuola l'avevano contratta. «…Bè…sembra che adesso sia tutto normale…resta ancora un po' qui, calmati e riposati, poi vediamo…magari è stato solo un calo di pressione…» disse gentilmente l'anziana donna. Uscì dalla stanza probabilmente per andare a informare Cooper che stava bene e si era ripreso.
«Non è stato un calo di pressione…» mormorò Liz a bassa voce «…vero?». Lei lo guardava fisso negli occhi, con un misto di preoccupazione e incertezza sul viso. Nate evitò il suo sguardo. «Non lo so proprio…». Sapeva che lei aveva colto nel segno, ma era ancora scioccato e spaventato da quello che gli era successo, e aveva mille domande senza risposta. «Nate, sembrava che avessi un'incubo!» scattò lei «eri tutto rigido…sei diventato pallido e…» lo guardò con uno scintillio di rabbia negli occhi «non sei svenuto e basta! Hai urlato prima, e avevi gli occhi…sembravano…non so…erano strani…». Nate si rabbuiò ancora di più. Era davvero troppo strano. Aveva ancora in testa quella voce…tutto quel…dolore che l'urlo gli aveva trasmesso. Lo sentiva come se in parte fosse suo. E la cosa lo terrorizzava. Si chiese come dovesse comportarsi. Era sicuro di aver bisogno di aiuto, ma il suo orgoglio personale e la sua vecchia abitudine di volersela cavare da solo lo frenarono dall'aprirsi con Liz. «Non so cosa sia successo, non ricordo nulla, Liz» disse prendendole una mano e sforzandosi di guardarla negli occhi «magari è stato davvero un calo di pressione…» sentì la mano di lei che ebbe un fremito «…non so…ma ti prometto che andrò a fare dei controlli in ospedale» concluse. Lei lo guardò in silenzio qualche secondo, con una strana espressione, come per capire se stava dicendo la verità, poi si arrese e sospirò «Ok, fa' come credi…ma non sottovalutare questa cosa. Non si sa mai.» Concluse, quasi ripensandoci. Nate si sentì un po' più sollevato per averla tranquillizzata almeno quel poco. Poi gli venne in mente una cosa. «Liz…» chiese prudentemente «eri tu che mi hai chiamato mentre ero svenuto?». «Beh…sì, appena dopo ho cercato di farti rinveni…» «No, intendo…appena prima che mi svegliassi» «No, la dottoressa ha detto che era meglio se aspettavamo che ti svegliassi da solo…hai sentito qualcuno che ti chiamava?» indagò. «…mi è sembrato, sì…ma forse sognavo». Non gli era semplicemente sembrato, ne era certo. «Ma se non era lei allora…?». Un'altra domanda senza risposta, un ulteriore problema da risolvere.

2 commenti:

  1. BELLISSIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMO


    E' un commento degno del peggior windows live spaces. Ma è troppo arte 'sto post per esprimere la sua grandezza! Ossia, potrei farlo anche scrivendoci una lunga recensione, ma preferivo il commento live spaces, perché ora c'è il derby. Auguri Doc, e che vinca... boh, io tifo napoli.

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  2. E mica male 'sto Napoli ultimamente ne?!? Io tifo Inter indipercui sono contento ;-)
    Giuro che non mi aspettavo commenti molto positivi ma comunque...Glad u liked it!

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