domenica 29 novembre 2009

Sempre colpa dei giovani...

Serata normale. In macchina col Paglia. 30 Km/h. Passiamo per le vie del centro. Spunta uno in bici, età approssimativa 40-45. Il mio amico sterza e inchioda e gli fa il pelo. Questo ci manda a cagare violentemente. Paglia scende.
"Paglia resta dentro e andiam..."
"NO guarda che sei tu che non hai rispettato la precedenza!"
Questo gli va a centimtri 5 dalla faccia. "VA VA...MEGLIO CHE VAI A CASA SENNò TI DISFO"
Scendo anch'io (ok, non sono la persona giusta per fare da mediatore in questi casi...)
IN quel momento arrivano altri due scesi da due macchine (amici del tipo? mah...viste le TESTE DI CAZZO comuni probabile...).
"TI CONVIENE ANDARE A CASA!"
"TAGLIATI I CAPELLI, SENNò TE LI TAGLIO IO BARBONE"
"VA, VA...CAZZO, TORNA A CASA DALLA MAMMA!"
Questo è un campione degli insulti che ci sono stati rivolti. Corredati di minacce di botte su botte. Da gente CHE AVEVA TORTO MARCIO. Che dovrebbe avere il senno di un quarantenne, non quello di un bulletto di periferia. Non siamo arrivati alle mani perchè i "ragazzini", quelli che non sanno un cazzo della vita, quelli che dovrebbero essere i coglioncelli, sono riusciti a contenersi. A non rispondere alle provocazioni di questa gente completamente matta. Con il doppio dei miei anni. Ah già...con la metà della mia stazza.

giovedì 26 novembre 2009

Gero Docet.......?

Credo che un giorno potrei rientrare di nuovo in un'aula del genere. Magari proprio in quest'aula. Per cercare di insegnare a dei poveracci come lo sono io ora. Chissà come sarei? Mah, probabilmente non dovrei nemmeno pensarci, ma non riesco a non accarezzare l'idea, ogni tanto. Di sicuro so una cosa. Le mie prime parole sarebbero: "Bene, chiariamo subito una cosa...chi mi chiama professor Gerosa verrà bocciato all'esame. Detto questo...piacere prof. Gero".

domenica 22 novembre 2009

♂ & ♀ ( = ☠)

Occhei capiamoci. Sono un figo. Ecco vedi? L'ho fatto di nuovo. Facile. Sbruffoneggiare, lo chiamo io. Impettonirsi. Pavonizzare. In un gergo universalmente accettato dire due, tre stronzate. Mi hanno detto che sono uno che si fa notare. Sì insomma, uno che spacca (fattiz'). Facoltà di 220 individui. Pare io sia conosciuto un po' da tutti (fonti esterne, non posso accertarmene). Ora però mi sorge un dubbio. La cosa ha senso se poi tanto la domanda è: "Oh ma...chi è quel figo del tuo amico?" ?!? Sono quei momenti in cui il tuo orgoglio maschile subisce delle belle scosse. 6.4 Richter diciamo (siamo scienziati, quindi semo precisi con le misure, cribbio!). Se poi tu sei tanto pirla (e gli vuoi troppo bene al to' amis) e rispondi pure con un:"Sai che è libero e ti vorrebbe nuda sul suo letto?". Ecco. Vorrei trarre una conclusione, ma credo sarebbe solo un'ulteriore scossa.

venerdì 20 novembre 2009

RLS pro 2.3

Chiuse gli occhi per un secondo. Prese un respiro. Li riaprì e fece fuoco. Vide il corpo del giapponese cadere nel teleobbiettivo. Pochi secondi e il dispositivo di cammuffamento ottico avrebbe occultato il cadavere per le successive 12 ore. La tecnologia sviluppata dal professor Hachimi aveva portato grossi benefici alla fanteria degli eserciti. Oltre all'utilizzo, abbastanza scontato a dire la verità, della CT (Camuflage Technology) per rendersi quasi invisibli e avvicinarsi agli obbiettivi, avevano pensato di poterlo applicare ai proiettili, in modo che il nemico potesse accorgersi delle perdite quando ormai era troppo tardi. Inutile dire che prima che il progetto fosse completato erano passati anni (problemi con gli schizzi di sangue). Ci ha facilitato un bel po' la vita, pensò mentre, a 500 metri di distanza non si poteva più scorgere la presenza di un corpo, a meno di non avvicinarsi parecchio. O di avere a portata di mano un sensore a infrarossi. Dovevano assolutamente sperimentare qualcosa per quei dannati infrarossi. Erano lo strumento d'eccezione per contrastare i cecchini, visto che il CT non copriva il calore di un corpo umano. In quel momento la deflagrazione di una granata lo fece sussultare. NO! Non ora, cazzo, avrebbero dovuto aspettare ancora un'ora! Che diavolo era successo? Si alzò e corse in direzione dell'esplosione.Anche se aveva impiegato quasi un'ora, strisciando per raggiungere la postazione di tiro in cui si trovava, pochi minuti di corsa in realtà bastavano per raggiungere il comando. Correva, quasi invisibile, in mezzo al fango per poi raggiungere con un balzo il passaggio scavato da lui stesso pochi giorni prima. Un odore di carne bruciata misto all'acre odore dei lacrimogeni lo investì appena entrato nel piccolo tunnel appena sotto il livello del terreno. Si erano scavati una trincea pochi giorni prima, una base sicura a cui appoggiarsi. A quanto pare qualcosa era andato storto. Si trovò davanti l'artigliere della squadra, un grosso irlandese più simile a un orso, in quanto a stazza, piuttosto che a un uomo. Appoggiato al muro di fango del minuscolo corridoio, cercava di tamponare le profonde ferite -pareva causate da scheggie di un ordigno- che aveva sul braccio sinistro. "Batou! Che succede?" "Sapevano che siamo qui" Sgranò gli occhi. Com'era possibile? Avevano preso tutte le precauzioni..."Non so come, ma dobbiamo andarcene! Non hanno ancora identificato la nostra ubicazione precisa, ma -e fece un cenno al braccio- pare che stiano andando per tentativi." "Vado a cercare il Maggiore" disse ricominciando la corsa. Batou gli gridò qualcosa ma il rumore di un'altra esplosione in superficie non gli permise di sentirlo. Aveva il cervello vuoto. L'istinto di sopravvivenza stava avendo la meglio sulla mente ben addestrata del soldato. Dovevano uscire da quegli angusti spazi, o la base sarebbe diventata la loro tomba. Arrivò alla piccola stanza dove si trovava l'uscita verso la superficie e vide il Maggiore e Togusa. In quel momento un'esplosione proprio sopra di loro fece crollare il soffitto sopra le loro teste. Si ritrovò pochi metri più indietro, ma nel voltarsi vide che dove avrebbe dovuto trovarsi l'uscita c'era solo un muro di fango. I suoi due compagni erano stati sepolti sotto la montagna di detriti. Con gli occhi offuscati dalla polvere e dal fango iniziò a scavare con le mani quell'immensa montagna di melma. Doveva salvarli. Loro avrebbero fatto lo stesso. Non dovevano morire lì. Non era possibile! In quel momento si accorse di qualcosa che non andava. C'era troppa luce... Sulla sua testa, l'esplosione aveva aperto un piccolo spiraglio verso l'aria aperta. Nemmeno il tempo di realizzare cos'era successo, sentì l'elmo volargli via dalla testa. Un soldato gli aveva appena sparato un colpo dritto in fronte, proprio da quella fessura. Furono attimi lunghi un secolo. Si aspettò il dolore ma quello non arrivò. Non capiva cos'era successo, la sua testa era una grossa bolla vuota in quel momento. Poi vide per terra. Il proiettile si era conficcato nell'elmetto ed era rimasto lì. L'adrenalina s'impossessò del suo corpo. Sono vivo! pensò euforico. Un altro colpo. Stavolta cadde. Una pozza di sangue. Poi una luce.
Tutti i suoi ricordi tornarono, con quella familiare -e fastidiosissima- sensazione di indolenzimento del cervello. Si staccò il visore e sbattè le palpebre per abituarsi alla luce della sala giochi. Di fianco a lui, Togusa disse:"Ah, sei morto anche tu allora." con una lieve delusione nella voce. Sorrise, malevolo. "Ok, mi hai battuto, anche se di pochi secondi! E comunque...te l'avevo detto che questa versione in multiplayer è più figa no?". Era vero. le potenzialità dell'RLS (reality simulation) aumentavano esponenzialmente, potendo giocare con più amici. Uscirono all'aria aperta, fuori dalla gigantesca sala giochi, continuando a parlare delle vita appena terminate. La volta successiva però, avrebbe scelto qualcosa di tranquillo. Un artista magari. L'ultima esperienza -"vivi anche tu all'epoca della terza guerra mondiale! Solo su RLS pro 2.3" diceva la pbblicità- era stata un po' stancante. Si incamminarono verso casa, mentre ancora Togusa polemizzava sulla solita questione. "E poi non è per niente realistica no? ...insomma, con tutti i filtri per il dolore che vengono imposti dalla legge non riescono nemmeno a simulare una morte decente!"

giovedì 12 novembre 2009

Sometimes it happens...

A volte capita. Capita che sia un perido un po' così. Capita che
uno fa qualcosa e tu pensi: "Ma cazzo fa???". Capita che poi uno
ci ripensa e si fa un'idea. Che a volte è giusta. A volte è sbagliata.
Capita che a volte vorresti che gli altri sentissero che avresti
voglia di parlare. Perchè magari hai qualche problema. Capita che
anche gli altri hanno dei problemi però. E magari a loro non gli va
per niente di parlare. Modi di affrontare le cose. A volte capita che
non riesci a capire le decisioni degli altri. A volte capita che
di essere un po' stronzi. A volte capita di essere un po' egoisti.
A volte capita di fare qualche cazzata. A volte capita che non te ne
frega niente. Perchè a volte capita che trovi gente che ti apprezza
comunque. A volte riesci ad apprezzare lo stesso gli altri. Anche se
capita che siano un po' egoisti. Un po' stronzi. E le cazzate le
perdoni. Capita che basta passare una serata assieme
e senza dire niente sistemi tutto. Che forse non c'era nemmeno niente
da sistemare.A volte capita.

venerdì 6 novembre 2009

Caritas

La Chiesa è diventata e resta un'istituzione umana. Questo è ciò che contesto. Il che significa, in pratica, che contesto tutto. Come può un concilio di uomini decidere aribitrariamente che il Figlio è "della stessa sotanza del Padre" (homooùsios)? Vogliamo essere più recenti? Come può la Chiesa essere vicina ai giovani quando è rimasta indietro di secoli?!? Non metto in dubbio le buone intenzioni cristiane. Sacerdoti, cristiani, scout, ho visto con i miei occhi gente che dava tutta sè stessa per gli altri. Sono i vertici del potere che infangano tutto questo. Gli scandali, l'ostentazione di ricchezza e potere, l'influenza politica nel nostro Paese e in altri (vedi Spagna...). La gerearchizzazione è stato un fenomeno che è cresciuto nel tempo fino all'affermazione dell'infallibilità papale! Torniamo alle origini del cristianesimo. Ricordiamoci che in origine la Chiesa era nient'altro che la comunità. La comunità dei cristiani. La comunità di coloro che seguivano Cristo. La comunità di coloro che amano il prossimo e che sanno perdonare.

giovedì 5 novembre 2009

"Robo dei Porcupine Tree" - questo il titolo provvisorio a cura di Roxane

1)Vicino di casa, anni 16-17 che trotterella come fosse Heidi con le sue caprette che fanno ciao. Beccato in flagrante a fare l’idiota, abbassa gli occhi, imbarazzato.
2)“Mi sono dimenticata i biglietti!!!” Roxane a Doc. Gero
3)“Tenersi sulla destra,ricalcolo,girare a destra,a destra,a sinistra, ricalcolo,ricalcolo…” navigatore Garmin a Doc Gero e Roxane
4)“Descrivimi minuziosamente il suo pene…!!!” Roxane a Doc. Gero…sorvolo su questa frase
5)Foto artistica (scattata a caso sul pubblico) allegata alla fine del post
6)Tanfo durante tutto il concerto. Veramente indicibile.
7)Wilson a piedi scalzi (forse spiegazione del punto 6).
8)Vomitata spettacolare di un tipo fuori dall’Alcatraz
9)“…Di solito negli incidenti muore sempre il nero o la strafiga….tu sei il nero.” Doc. Gero a Roxane
10) I semafori NELLE rotonde a Milano. E le indicazioni per raggiungere l’autostrada lasciano un po’ troppo all’inventiva personale.
11)Nebbia incredibile in località Casalpusterlengo. Ok, questo era il punto saldo, l’unica certezza di tutta una vita. Qualunque periodo dell’anno, a Casale c’è nebbia. Anche a Luglio.
Questo il bilancio del pomeriggio/sera/notte del concerto dei Porcupine Tree.

mercoledì 4 novembre 2009

My best friend

G. rise di gusto. Il tramonto incorniciava la campagna londinese mentre un vento gelido si infiltrava in mezzo al suo maglione. Era da tempo che non si bevevano una birra in compagnia, come ai vecchi tempi. Vecchi tempi che tanto lontani non erano. Sembrava ieri l'ultimo giorno di liceo, quando presero ognuno la propria strada, dopo anni passati insieme. Anni indimenticabili, pensava G. Erano rimasti in contatto durante i periodi in cui l'università lasciava loro qualche spazio, ma si erano persi di vista quando a M. era stato offerto un posto esclusivo nel cuore della city londinese. G. era rimasto in Italia per continuare i suoi studi e aveva quasi perso i contatti con l'amico, negli ultimi due anni, senonchè, circa una settimana prima, aveva ricevuto una lettera dalla capitale inglese. Il giorno dopo, era sul suolo britannico, diretto verso l'appartamento di M., appena in periferia. La giornata era passata in quello che gli era sembrato un minuto. E ora era lì, un po' alticcio, col suo amico di sempre. Dondolava avanti e indietro le gambe sul muretto di pietra, osservando l'orizzonte.
"E poi dicono che il clima qui fa schifo...a parte questo vento, la giornata è stata splendida".
"...è davvero quello di cui vuoi parlare? Il tempo?"
G. lo osservò stupito. M. non era cambiato. Alto e atletico, capelli scuri, aveva ancora quell'espressione da ragazzino che faceva impazzire le donne.
"...non saprei, era per dire..."
"Non credi sia ora......?"
"Ora? Ora per cosa?" chiese guardandolo di sottecchi. Poi si lasciò cadere giù dal muretto di pietra. Si voltò con aria interrogativa verso M., che gli stava dando le spalle.
"...è ora...vedrai..." disse. E s'incamminò lungo il sentiero costeggiato da cipressi.
"M.?" bisbigliò G. Ma quello era già andato.
Finì quello che restava della sua birra da pochi euro e lo raggiunse velocemente mentre il cielo si dipingeva deglle ultime tinte rosso e arancio.
"C'è qualcosa che devi dirmi vero? Immaginavo che non avessi fatto venire solo per una rimpatriata..."
M. non rispose. Continuava a camminare.
"Novità? Ti sei sistemato con qualcuna e vuoi farmela conoscere?"
Attese una risposta che non arrivò
"Beh...sarebbe carino mi dicessi perchè mi hai chiamato qua...mi ha fatto piacere vede..."
"Sai perchè sei qui." Fece un cenno con la testa verso qualcosa al suolo.
G. non si era accorto che si erano fermati.
"M....che stai dicendo?" gli chiese osservando quello che l'amico gli aveva indicato. M. non lo guardava. Era ancora girato di spalle, gli fece solo un altro cenno verso la piccola costruzione ai suoi piedi.
G. si avvicinò lentamente, cercando di scorgere, nella fioca luce del crepuscolo, le parole che vi erano scolpite in oro lucido.
La vista gli si annebbiò a causa delle lacrime, che ora scorrevano copiose sulle sue guance.
"...è ora di lasciarmi andare, G."
"No..."
"...è ora...smetti di soffrire..."
"...non...è....giusto" singhiozzò
"Sarò sempre con te amico mio..."

LAYS HERE M. F.
SON, MAN, FRIEND
HE'S WALKING THE STREETS OF HEAVEN

domenica 1 novembre 2009

Questione di rispetto

Va fatta chiarezza sulla morte di Stefano Cucchi. Ma c'era bisogno di pubblicare le foto del cadavere dopo l'autopsia? Non ho assistito ad autopsie...ma anche nelle dissezioni anatomiche in ospedale ci è stato insegnato il rispetto per chi ha volontariamente messo a disposizione il proprio corpo perchè noi potessimo imparare. Rispetto che è mancato totalmente per questo ragazzo e la sua famiglia.