mercoledì 27 gennaio 2010

Strangers (part -1)

Strangers

Quella notte non sognò. Gli sembrò di addormentarsi di botto, appena sfiorato il letto. E fu come aver spalancato di nuovo gli occhi verso quella luce blu. Si svegliò sudato e ansimante. Avrebbe giurato di aver vissuto ogni istante, ogni secondo di quella notte vuota. Quel sogno vuoto. « Come se avessi passato la notte sveglio… sospeso in quel vuoto blu… ». Rifletteva mentre l’acqua tiepida gli scorreva sul viso. Uscì dalla doccia ancora perplesso e si diede un’occhiata allo specchio. Aveva una gran brutta cera. « Oh, non posso cominciare la giornata così! » disse al suo alter ego dello specchio. « Basta rimuginare su questa cosa… » la sua mente scientifica gli venne in aiuto « per ora vediamo se capita di nuovo qualcosa come ieri… Potrebbe essere stato qualunque cosa, un episodio isolato…». La sua stessa espressione allo specchio non sembrava convinta della decisione presa. Passò i due minuti successivi a cercare di assumere una faccia allegra e serena, col risultato di sembrare un idiota che si sorride allo specchio e di non accorgersi del ritardo che stava accumulando.

Fu quando il suo treno gli sfrecciò davanti agli occhi che si rese conto. Se sei pendolare, la mattina non ti puoi permettere due minuti per cercare di ricomporre la tua persona. Fisica e mentale. « Ci sono i treni per quello. Ritardano apposta per concederci più tempo, che gentili…» pensò mentre imboccava le scale del sottopassaggio diretto al bar della stazione bramoso di un caffè e una brioche.
«TU!!! ». Qualcuno gli afferrò la caviglia e Nate, istintivamente, saltò indietro per liberarsi della presa. Il suo corpo rispose meglio del previsto e si trovò a tre metri da dove si trovava pochi istanti prima, barcollando per la sorpresa di quel balzo. Vide chi lo aveva afferrato. Era il vecchio barbone col mantello vermiglio. Non l’aveva mai visto in faccia ma doveva ammettere che era parecchio strano. Era più giovane di quanto Nate si sarebbe aspettato, all’incirca sulla quarantina, con una lunga barbetta grigiastra arrotolata lungo il mento. La pelle dell’uomo era chiara, tranne che sull’occhio sinistro, dove risaltava una cicatrice, la pelle bruciata e graffiata. Tuttavia sembrava che sotto quelle escoriazioni l’occhio, come in trasparenza, fosse ancora lì, vigile. Il barbone lo guardava con l’occhio sano, ancora semi-sdraiato a terra. Sul suo viso era un’espressione indecifrabile, di sorpresa e di rabbia, di paura e tensione. «…tu…tu non dovresti essere qui! Eost Daèva.! » prounciò le ultime due parole sottovoce, i suoi occhi saettavano in giro, nervosi. « ehm… senta signore non la voglio infastidire, me ne…» « male, male…grande male, mijonòu imchawi». E mentre parlava alzava l’occhio sano al cielo. Con orrore di Nate anche l’occhio sinistro sembrò muoversi, puntando dritto su di lui. « Non guardarlo negli occhi!!! » diceva il suo istinto, mentre la sua parte razionale gli ronzava nella testa « Macchè occhi!!! Questo non ce l’ha l’occhio! È fuori come un balcone e tu devi solo andartene a berti il tuo caffè!!! ».
« Ehi Thomas! » una voce familiare dietro di lui. Dexter era sulle scale a qualche metro da lui, evidentemente in ritardo mostruoso. « Caffè? » sogghignò. Nate, spaesato, si girò verso il barbone. Quello era di nuovo avvolto nel manto rosso, il volto nascosto tra le ginocchia, che borbottava parole a mezza voce. Un attimo di indecisione e Nate raggiunse Dex, non senza la sgradevole sensazione che l’occhio morto del barbone rosso lo stesse ancora fissando.

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